domenica 24 giugno 2007

Il Petrarca del Sapegno

di Emiliano Alessandroni

L'immagine principale emergente dalla descrizione che Natalino Sapegno fa del Petrarca, mette in luce una personalità vivace la cui vita è perpetuamente costellata da frastagli emotivi e turbolenze interiori. Tutto il Canzoniere va letto d'altronde come la storia di un «implacabile tormento»,1
«il tormento di un'anima che faticosamente si sforza di raggiungere, oltre l'incertezza dei propositi e la debolezza degli atti, un equilibrio poetico e contemplativo».2
Come che sia, sono tematiche esistenziali di portata universale quelle che Petrarca offre ai propri lettori sul piatto del Canzoniere e non il semplice resoconto autobiografico di un'avventura amorosa mai concretizzatasi: la stessa figura di Laura, intorno alla quale si trova a ruotare l'intera opera,
cessa, nel Canzoniere, di aderire a dei precisi connotati fisici di creatura umana trasformandosi in un «personaggio poetico ... quasi privo di realistica consistenza. La realtà materiale di Laura ... è, rispetto al sentimento che si esprime nel Canzoniere, non più che un limite, quasi un fondamento di vita che impedisce all'impeto lirico di degenerare in un vacuo gioco dell'immaginazione. La Laura delle Rime sparse è insomma nient'altro che un sentimento, con tutto il calore della realtà e tutta la libera irrequietezza della fantasia».3 Analogamente i paesaggi che fungono da sfondo ai momenti via via descritti dal poeta «s'allineano a guisa di pacato commento alle situazioni mutevoli del suo cuore» seminando per l'intero componimento (forse più nella seconda parte che nella prima) «un clima d'immaginazione e di sogno».4
Questo conflitto interno dunque, palesato nel Secretum come lo scontro tra fede religiosa (Agostino) e inclinazioni terrene (Francesco), costituisce la chiave di lettura per comprendere al di là del Canzoniere l'intera figura del Petrarca e delle sue opere.
Non è qui, tuttavia, che si esaurisce l'apporto originale del Sapegno. Tali considerazioni sono in effetti riscontrabili nei più illustri critici di letteratura sia prima (come ad esempio nel Desantis) che dopo di lui (come ad esempio nel Ferroni). A caratterizzare il contributo innovativo del Sapegno rispetto ai suoi commilitoni mi sembrano essere invece due fattori fondamentali, che sanciscono, fra l'altro, la sua progressiva adesione allo storicismo marxista.
Il primo fattore consiste nella riconduzione di quelle irrequietezze interiori, che come abbiamo detto costituiscono la chiave di lettura per tutte le opere del Petrarca, a circostanze meramente storiche e, dunque in ultima analisi, politiche.
Come risulta del tutto inattendibile parlare di un Leopardi pessimista durante un'epoca storica in cui bisogna dar ragione del pessimismo leopardiano, del pessimismo manzoniano, delle Ultime lettere di Jacopo Ortis del Foscolo, de I dolori del giovane Werter di Goethe ecc. senza correlare l'autore al sistema sociale allora vigente ed agli eventi nazionali e internazionali che si susseguivano, così l'origine dei conflitti interni presenti nell'animo del Petrarca, va ricercata secondo il Sapegno in un perpetuo disagio sociale che il poeta provava per la difficile situazione storica venutasi a creare in Italia dopo il tramonto dei comuni.
La guerra che stringe la penisola come in una morsa, mostra il Sapegno, diventa per il Petrarca una vera e propria ossessione: nel 1342 «sul trono papale, morto Benedetto XII, era salito il 7 maggio Clemente VI: come già al suo predecessore il Petrarca indirizzò anche al nuovo pontefice un'epistola metrica, nella quale lo supplica di restituire "a se stesso Roma, a Roma la pace, all'Italia e al mondo il decoro e la fine delle sventure"».5
La fede, l'isolamento e il rifugio spirituale sono gli antidoti cui di volta in volta si serve il Petrarca per sfuggire agli sconquassi politici e ai conflitti che via via si dispiegano sul suolo italico: alla fine del '44 scoppia la guerra fra gli Estensi, «gli Scaligeri, i Visconti e i Gonzaga. Parma venne cinta d'assedio: e il poeta fu ripreso dalla "smania di quella libertà, che era solito desiderare con tutto il cuore, abbracciare con ogni studio, e fuggitiva inseguire per terra e mare", e gli rinacque nell'animo la "nostalgia del suo Elicona transalpino, poichè questo italico ardeva tra le guerre"».6
Ma non è solo la guerra a creare nel Petrarca questa ripugnanza verso il presente e ad allontanarlo dalla vita pubblica: la Chiesa, che avrebbe dovuto costituire la bussola di orientamento ideologico a cui aggrapparsi nei momenti di oscillazione e sbandamento, viene avvertita dal poeta immensamente lontana dai propri principi religiosi, mentre più confortevoli e vicine gli appaiono le parole sempre incontaminate dei testi di S.Agostino. Certo, di essa egli non negò mai «l'universale sovranità nel campo spirituale (come d'altronde non negò mai esplicitamente il concetto di universale sovranità temporale insito nell'Impero), ma ne sferzò risolutamente i costumi corrotti con parole in prosa e in rima, in latino e in volgare, che si attaccavano non tanto al generico anticlericalismo medievale, quanto al movimento trecentesco dei francescani spirituali. Come questi egli si richiamava alle origini apostoliche della Chiesa "fondata in casta ed umil povertate", e non "nudrita in piume al rezzo, Ma nuda al vento e scalza fra gli stecchi", e a quell'immagine ideale contrappone l'"infernale grottesca, oscena visione" della curia avignonese, "dipinta con magica, sinistra violenza di luci"».7
Un senso etico e inestinguibile sembra pervadere costantemente l'animo del Petrarca. Una moralità forse più greco-romana che cristiana - lascia trapelare il Sapegno - che gli impone di dissociarsi dalla degradazione di valori cui sembra sempre più andare in contro l'Italia. Donde la celebrazione delle antiche virtù che risplendevano nella prestigiosità di Roma.
Se quindi, mostra il Sapegno, è dalle contraddizioni storiche e dai conflitti politici che occorre partire per comprendere quelli insiti nell'animo del Petrarca è necessario a questo punto chiederci se e come tali conflitti vengono da questi dipanati. E così andiamo a toccare il secondo punto fondamentale che caratterizza l'interpretazione del Sapegno.
Il primo e l'ultimo sonetto del Canzoniere sembrerebbero non lasciare dubbi: il conflitto tra Agostino e Francesco è inconfutabilmente risolto a favore del primo. L'appello alla Vergine è la palese testimonianza di come tutto il Canzoniere non sia altro che una sorta di chiave d'accesso per una dimensione ultraterrena.
E tuttavia, analogamente al "Come dicevamo" del Croce dopo la fine della Seconda guerra dei Trent'anni, che non servì a dimenticare nè la guerra nè la barbarie nazifascista che c'era stata, così, l'ultimo sonetto del Canzoniere, per quanto seducente, non può riuscire a cancellare l'intero percorso di problematizzazione dei principi cristiani che quell'opera ha portato avanti per tutti i versi precedenti.
Ma vediamo brevemente come Petrarca interpreta Petrarca, in quel De secreto conflictu curarum mearum. Secondo il Ferroni questo dialogo tra Agostino e Francesco, personificanti rispettivamente ideologia religiosa e passioni terrene del Petrarca, è privo di una sua risoluzione: «il conflitto resta necessariamente aperto. Il Secretum è la prima opera in cui un'esperienza autobiografica si rivela contraddittoria e non conclusa, in cui lo scrittore che parla di sè scopre di non poter attribuire un significato definitivo alla propria esistenza»; a dimostrazione di ciò «il procedere del dialogo, lo stesso ritmo della prosa latina, hanno qualcosa di sospeso, un tono e un'atmosfera singolari».8
A parere del Dotti, viceversa, la risoluzione del conflitto sembra pendere dalla parte di Francesco, aggiungendo, altresì, un velo di trasparenza sulle pagine del Canzoniere: nel Secretum,

in gioco e in denuncia non sono soltanto l'amore di Francesco per una donna; in gioco e in denuncia è proprio la trasgressione che il poeta ha operato nel cantare di Laura. Da questo punto di vista il libro segreto petrarchesco, per la consapevolezza che lo scrittore vi dimostra nelle opposte posizioni, risulta un documento di grande rilievo per la comprensione del conflitto ideologico in atto. La crescente penetrazione della tematica antica nei soggetti dell'arte e della cultura comportava infatti, di necessità, un superamento della concezione cristiana della storia la quale, nella propria prospettiva, subordinava ogni cosa al riscatto dell'anima di ciascuna personalità individuale. Nelle nuove dimensioni umanistiche, al contrario, lo studio dell'uomo si veniva sempre più configurando come lo studio non già di una creatura peccatrice ma come quello di una personalità capace di presentarsi quale signore della terra e dotato di virtualità psicologiche molto più libere rispetto al passato ... donde ... la conquista della consapevolezza che l'arte e la poesia potevano ben essere intese come alternativa (immanente) alla catarsi religiosa. Petrarca, eccezionalmente, visse in sè questo momento di passaggio e di conflitto, giacché egli era, nè poteva essere diversamente, parimenti Francesco e Agostino. Egli avvertiva in sè, parimenti e con pari urgenza, la necessità di non staccarsi troppo dall'ideologia religiosa dominante, ma, al contempo, si rifiutava di rinunciare all'efficacia dell'arte come strumento di rappresentazione del sensibile terreno e dell'immanente storico, che egli avvertiva come il contenuto proprio e tipico dell'animo umano. Le passioni, in altri termini, vennero da lui rivalutate e alla catarsi religiosa, in sostanza ... oppose la catarsi dell'arte, la consolazione della poesia sicché, nella complessa dialettica di tale conflitto, proprio perchè cercò di trasformare il dilemma in chiarificazione e di mutare l'indefinito di questo dramma della psicologia nel definito dell'arte e della ragione, poteva avanzare verso una direzione opposta alle dottrine teologiche e pertanto, nelle circostanze storiche date verso un preciso orientamento trasgressivo. Ritenere infatti che il viaggio della vita sia anche un viaggio tra passioni tutt'altro che disprezzabili e intessuto piuttosto di sentimenti nobili e degni - l'amore, la gloria - è sicuramente, dal punto di vista cristiano, una convinzione fortemente trasgressiva.9



Possiamo dire, per commentare le considerazioni dottiane, che abbiamo col Petrarca uno dei classici casi in cui l'opera dell'autore finisce per superare e l'intento e il pensiero dell'autore stesso. In realtà, è il concetto di unità fra teoria e prassi che riecheggia ampiamente tra queste righe, ovverosia, la consapevolezza del fatto che ogni comprensione costituisce a suo modo già un'azione, che la descrizione della contraddizione non proviene al di fuori della contraddizione ma da un lato di essa, e che quindi la descrizione di un conflitto in corso finisce per essere risucchiata inevitabilmente da una delle due parti che compongono il conflitto medesimo.
Mostrando, come abbiamo precedentemente accennato, la sua progressiva adesione allo storicismo marxista, il Sapegno ben prima del Dotti fa sua questa consapevolezza, e prima del Dotti giunge alle stesse sue conclusioni. E così commenta il Secretum:

il tono delle parole del Petrarca non è quello di chi guarda con orrore la sua malattia e vuole ad ogni costo liberarsene, sì quello di chi in certo modo se ne compiace, e acquistandone coscienza e descrivendola, l'ama ancora e la vagheggia come materia d'una raffinata esperienza, e neppure intravvede la possibilità di trasformarsi, di convertirsi, che vorrebbe dire rinunziare a cotesto suo amaro, e pur dolce, male.10


Infine per quanto riguarda l'esito del Secretum, il Sapegno sa benissimo che molti critici l'hanno descritto «come la testimonianza di una crisi rimasta senza soluzione e senza sfogo, a quel modo che il libro stesso si tronca senza concludere», e tuttavia, a suo avviso, e alla luce dell'identità di teoria e prassi, «la soluzione della crisi petrarchesca, crisi sempre vinta e sempre risorgente, è appunto, come già si disse, nel libro stesso, in quell'implacabile pertinacia d'analisi che si sfoga in un linguaggio morbido, flessibile, aderente a tutte le pieghe della vita spirituale. Qui è la grandezza vera del Petrarca, qui la sua moralità e la sua pace, per quanto difficili e precarie, qui anche il fondamento primo della sua poesia».11

1 Sapegno, 1952, p. 247
2 Sapegno, 1952, p. 248
3 Sapegno, 1952, p. 246
4 Sapegno, 1952, p. 258
5 Sapegno, 1952, p. 176
6 Sapegno, 1952, pp. 179-180
7 Sapegno, 1952, p. 196
8 Ferroni, 1992, p. 152
9 Dotti, 1997, pp. 109-110
10 Sapegno, 1952, p. 237
11 Sapegno, 1952, p. 239
Bibliografia:

- Natalino Sapegno: "Storia letteraria d'Italia. Il Trecento", Editore Dottor Francesco Vallardi, Milano 1952

- Giulio Ferroni: "Profilo storico della letteratura italiana", Einaudi scuola, Milano 1992

- Ugo Dotti: "Storia degli intellettuali in Italia" Editori Riuniti 1997